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CORONAVIRUS: LAV, TEST SUGLI UMANI PER GUARIRLI

TOPI O SCIMMIE SONO FUORVIANTI INVESTIGAZIONI

Nuove terapie e un vaccino efficace: sono queste le armi che fermeranno la corsa del Coronavirus. Purtroppo, per identificare o sviluppare alcuni di questi studi è necessario testarli su topi, furetti, gatti e scimmie geneticamente modificati. Occorre chiarire però che “i virus sono “parassiti cellulari obbligati”, cioè non sono in grado di replicarsi autonomamente dato che hanno la necessità di utilizzare le strutture della cellula ospite affinché possano compiersi le diverse fasi del ciclo replicativo: l’infezione. Quindi, per diffondersi il virus deve usare la cellula di un altro individuo e la variabilità genetica di tale individuo è un punto cruciale per la sua capacità di replicarsi. Di conseguenza, è fondamentale studiare gli umani per guarire/proteggere gli umani e non basarsi su fuorvianti investigazioni su altre specie come ratti, topi o scimmie che distano fortemente dalla nostra, determinando errori grossolani e rilevanti ritardi nelle scoperte scientifiche. Inoltre, il modello sperimentale animale è un approccio datato, costoso ed estremamente lento che ostacola lo sviluppo di farmaci e vaccini, tanto che alcune procedure (gli stessi nuovi test o ri-sperimentazione su animali di sostanze già in uso) e i tempi di alcune fasi delle sperimentazioni, sono stati modificati o tagliati dalle Autorità”, dice Michela Kuan, biologa, responsabile LAV Ricerca Senza Animali.

Nel caso del COVID-19 all’inizio si pensava fosse colpa dei serpenti, poi dei pipistrelli e, ora, anche dei pangolini. Ciò di cui, però, siamo certi è che l’origine è da imputare al mercato alimentare di Wuhan in cui si vendevano animali selvatici vivi. La storia non ci è nuova, perché nel non lontano 2003, un altro coronavirus riuscì a fare il “salto di specie” (spillover) tra animale e uomo prendendo il nome di SARS.

“Lo scenario cui stiamo assistendo, però, al di là dei proclami ad effetto, ci mostra una situazione in cui il National Institutes of Health (NIH, organismo pubblico USA che si occupa della ricerca medica) non sta aspettando la tipica e lunga fase di sperimentazione sugli animali  procedendo, invece, con i test sull’uomo: il Moderna biotech a Cambridge in Massachusetts, ad esempio, ha sviluppato un possibile vaccino contro il COVID-19, e lo sta testando su volontari umani di 45 anni in buone condizioni di salute (che non corrono il rischio di essere infettati, perché il prodotto non contiene il virus), senza i trials sugli animali. Tal Zaks, a capo del Moderna, ha dichiarato “Non credo che il passaggio su un modello animale sia una strada fondamentale per arrivare alla sperimentazione clinica… sembra che i topi di laboratorio standard non siano nemmeno sensibili a COVID-19 e non possano comunque essere utilizzati per i test in questa fase”. Moderna è una delle aziende private che hanno iniziato fin da subito a lavorare sul virus, appena l’epidemia è scoppiata in Cina.

Altro approccio sperimentale è quello portato avanti dai ricercatori della John Hopkins School of Public Health in uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Investigation: utilizzare l’immunizzazione passiva, ovvero immunizzare un paziente sano iniettandogli gli anticorpi contenuti nel siero sanguigno di un paziente guarito (i rischi di venire contagiati da altri patogeni presenti nel sangue del paziente guarito sono ridotti al minimo, grazie alle moderne tecniche utilizzate nelle banche del sangue, che permettono di individuare immediatamente la presenza di eventuali agenti infettivi).

Ma non bisogna andare all’estero per trovare promettenti studi che partono dall’uomo per l’uomo: è italiano il team di ricerca che ha implementato la metodica di identificazione di anticorpi monoclonali che possono essere testati in saggi in vitro, sia contro le specie batteriche sia contro quelle virali, che ha reclutato pazienti convalescenti o guariti da CODIV-19 per prelevarne il sangue, utilizzato poi, per isolare le cellule B, produttrici di anticorpi monoclonali”, comunicano dalla LAV .

Analizzare il virus e la sua diffusione basandosi sullo studio della nostra specie è un passaggio fondamentale, perché la complessità del sistema immunitario dell’uomo riflette il lungo percorso evolutivo durante il quale siamo venuti a contatto con agenti microbici come virus e batteri. Nel nostro organismo, composto da 100’000 miliardi di cellule, convivono almeno 10 milioni di miliardi di “organismi estranei”. Dunque cosa possiamo fare? La risposta ci arriva da Ippocrate: “Prima di cercare la guarigione di qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”.

Pubblicato da robertamaresci

giornalista e scrittrice

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