La gigantografia del matrimonio abruzzese visto con gli occhi e il pennello di Pasquale Celommi, è il metro per approcciare al mondo delle tradizioni in mostra al Museo delle Genti d’Abruzzo. Un metro che diventa anche termometro propulsore di una intera cultura che nello sposalizio ritratto riassume il senso del rito. Le ragazze? Ben abbigliate, ma scalze e ricolme di ori ad ornare ma anche ad allontanare il male con i loro rumori; basti vedere il basto nuziale impreziosito dai sonagli in cima. Le calze? Strano siano state dimenticate dall’artista nato a metà dell’800 a Roseto degli Abruzzi in una modesta famiglia di artigiani e pescatori. Il padre? Faceva il ciabattino. Fatto è che la riproduzione del quadro indica chiaramente come le spose preferivano colori pastello, almeno fino agli inizi del Novecento. Un’inversione di rotta lo testimonia Scanno, quando si presentavano all’altare con colori scuri per far risaltare i monili. Il bianco? Beh, si deve a Maria e all’Immacolata Concezione, che si portò dietro l’eredità da Iside e anche il suo manto stellato. Bene, questo è solo uno dei tanti momenti di cultura che trovano spazio e attenzione nel Museo in via delle Caserme 24 a Pescara. L’ho visitato durante il tour Abruzzo Food Experience (@cciachpe).






Di primo impatto la maestosità mi ha spaventata, ma lo storico d’arte Christian Dolente come guida ha reso la visita curiosa, rapida e soprattutto leggera. Nonostante sia partito da due esempi di sepoltura neolitica ritrovati in località Villa Badessa, vicino Rosciano (Pe), quando si pensava che i defunti tornassero nel ventre della dea Madre Terra con la speranza di tornare a nuova vita. Il resto è impossibile da riassumere: sono oltre 4000 i reperti. Vale la pena andarci di persona.